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Campagna American Eagle e il ritorno-choc del beauty tossico

Campagna American Eagle e il ritorno-choc del beauty tossico

Immagine di Sydney Sweeney per American Eagle

Marketer, tenetevi forte: la scena moda-comunicazione è ruotata a 180°. Negli anni zero e dieci la body positivity era il jolly, la parola d’ordine su cui costruire campagne, branding e storytelling. Tutte le taglie sfoggiavano il loro momento di gloria e la diversità era diventata un vero asset. Oggi invece? Siamo impantanati in un déjà vu tossico. Ritorna in pompa magna il culto della magrezza, della pelle super chiara e di un lusso elegante ma abbagliante. Non parliamo solo di estetica, qui si ridefiniscono con forza priorità, target e soprattutto narrazioni.

Dal boom della body positivity al comeback irresistibile del thinness

Tra il 2010 e il 2022 la body positivity sembrava inarrestabile. Basta guardare a Victoria’s Secret, che ha provato a fare il colpaccio inserendo finalmente corpi normali nella sua line-up di modelle, provando a scrollarsi di dosso un passato ingessato.

Ma tirando le somme… la realtà è ben diversa. EuroModa nel 2024 racconta che alle sfilate di Parigi lo 0,8% delle modelle è plus size. Sì, avete letto bene, meno del l’1%. Il resto? Un club esclusivo di esilità calibrata maniacalmente. Più che estetica, è body politics su steroidi, incastrata tra soldi, vendite e aspettative sociali.

E poi, come ciliegina velenosa, ecco Ozempic & co., il farmaco “miracoloso” che le star globali, da Elon Musk in giù, usano per tenere vivo il mito della magrezza a tutti costi. Chioma Nnadi di British Vogue ne ha parlato chiaramente: “Il ritorno della magrezza è reale e spinto da questo boom farmacologico. L’industria deve svegliarsi”.

Il risultato? Solo il 68% degli uomini e il 45% delle donne si dichiarano soddisfatti del proprio corpo. Colpa dei messaggi mediatici che non vendono più solo salute e benessere, ma associazioni implicite tra magrezza, successo e gentilezza (studio su Journal of Body Image). Roba da far girare la testa.

Modella con pelle scura e capelli intrecciati in top azzurro e jeans aderenti, posa casual seduta su sgabello.

Il sito e-commerce Next UK finì nell’occhio del ciclone per aver modificato digitalmente l’immagine di una modella con magrezza irrealistica. Immagine Handout.

Influencer superstar: nuovi architetti del sogno (o incubo?) americano

La nuova geometria del marketing fashion si basa ormai su pochi codici inviolabili: pelle chiara come porcellana, corpi asciutti come danzatori, vite di jet privati e resort esclusivi. “Clean living” + “minimal luxury” = formula vincente, dove l’inclusione è un accessorio, niente di più.

Entrano in scena influencer come Charli D’Amelio e Hailey Bieber, esempi viventi di questi sogni luccicanti e un po’ distanti. La loro immagine è un brand in sé, fatto di corpi dall’altezza perfetta e vite infuocate di foto patinate. Ariel Tunnell, celebre stylist, ha detto: “La body positivity? Una facciata. I pregiudizi anti-corpo grasso restano intatti”.

In effetti, il marketing mainstream si nutre di questa perfezione a costo di ignorare le differenze. Risultato? Engagement alto, sacchi pieni e pressione sociale ai massimi storici.

Campagna American Eagle con il testo: Sydney Sweeney Has Great Jeans

La campagna American Eagle e Sydney Sweeney: jeans, geni e polemiche esplosive

Ecco il campanello d’allarme più recente: la campagna American Eagle con Sydney Sweeney, incarnazione vivente del canone eurocentrico di pelle chiara e lineamenti regolari. Qui il gioco di parole “jeans = genes” ha fatto rumore, evocando implicazioni pesanti.

La bellezza legata alla genetica non è passata inosservata, evocando riflessioni sul ritorno a certi ideali estetici puri e preoccupanti, con echi di suprematismo estetico involontario. American Eagle si è affrettata a spegnere l’incendio, precisando fosse solo un adv per jeans. Ma la polemica ha acceso un dibattito ampio che non sembra placarsi, a dimostrazione di quanto il marketing oggi vada maneggiato con estrema cura.

Come dice Moya, ex modella: “La magrezza torna, con tutto il pacchetto: lavoro sì, ma una pressione che non si stacca mai dalla schiena”.

Quali numeri contano davvero in questo mood?

Quello che si vede dietro le quinte è plastico: solo lo 0,8% di plus size nei casting più prestigiosi. Il trend “ballet body” – silhouette snella e atletica – impazza, con chirurgia estetica e filler sempre più richiesti (dati American Society of Plastic Surgeons 2024).

Parallelamente crescono le richieste di interventi che lascino il corpo “magro ma naturale”. È la risposta perfetta a un’estetica social media-friendly, che sogna il viso liscio e senza imperfezioni.

Gruppo di persone con diversa etnia, fisicità e abilità per campagna pubblicitaria.

Campagna Get Body Posi di Isle Of Paradise.

Qualche dritta per marketer che vogliono restare agili e autentici

Il primo insegnamento è duplice: la viralità sembra premiare il glamour perfetto e levigato, mica il realismo crudo. La campagna American Eagle ci ha insegnato quanto anche un dettaglio (un gioco di parole, un volto, un simbolo) possa scatenare terremoti sociali.

Gli influencer possono alimentare rivoluzioni o confondere le acque con stereotipi mille volte già sentiti. Il segreto è saper leggere trend e dati, sapendo che l’inclusività deve dialogare con una forte estetica aspirazionale. Il pubblico vuole ispirazione, anche se non sempre è “nuda verità”.

Il 2025 è l’anno in cui la body positivity perde la corona e il thinness torna protagonista. Marketer, è tempo di scegliere: cavalcare il ritorno della perfezione o costruire nuovi linguaggi più inclusivi, senza perdere il passo.

Cartellone pubblicitario di chirurgia estetica nella metro di Gangnam

Cartellone pubblicitario di una clinica di chirurgia estetica nella metropolitana di Seoul.

Corea: K-Beauty, thinness e body politics – un capitolo a parte

Se pensavate che la body positivity fosse globale e incontrastata, la Corea del Sud è il controesempio perfetto.

Qui la bellezza è una specie di dogma: pelle chiarissima, corpo ultra-sottile, volto a “V” con occhi grandi e lineamenti scolpiti. La taglia ideale per una donna coreana è 162 cm per 42 kg, praticamente un miraggio per la maggior parte di noi comuni mortali.

Questa ossessione è figlia di una storia sociale e culturale robusta, la magrezza non è solo bellezza, ma disciplina e successo. Dai K-drama alle superstar K-pop, come Lisa delle BLACKPINK, le regole non si discutono.

Il mercato K-beauty domina il mondo con skincare supertecnologica, device smart, soluzioni minimal. Ma il messaggio non cambia: devi essere perfetta, nei canoni. Anche la moda urbana, pur oversize, è calibrata su corpi magrissimi.

In qualche caso qualcosa si muove, grazie a influencer e attiviste come Park I-seul e Jiwon che, attraverso i social, provano a introdurre più diversità e accettazione. Ma la body positivity resta più una nicchia che una cultura mainstream.

Il mercato K-beauty vale una crescita stimata del 7,5% nel 2025. Il look no-makeup makeup domina (80% delle giovani lo preferisce). Micro-influencer raccontano storie alternative, ma la grande onda è ancora quella di una perfezione estetica inarrivabile.

Se sei un marketer B2B del beauty, provare a portare la body positivity in Corea è una sfida potente, quasi disruttiva. Serve empatia culturale, strategia e autentico coraggio. La Gen Z americana chiede sempre di più una contaminazione tra innovazione K-beauty e inclusività reale. Questa è la chiave per fare davvero la differenza.

Meme di Sydney Sweeney con i baffetti di Hitler

Meme di Sydney Sweeney nazista della sinistra da Alexander Hunter.

La campagna American Eagle come lezione chiave nella narrazione della bellezza 2025

Il mix di body positivity che perde terreno e thinness che torna a imperare è ben rappresentato dalla campagna American Eagle. Un messaggio, seppur involontario, può scatenare polemiche di ampissimo respiro culturale e politico.

Il brand ha dovuto gestire con tatto una crisi comunicativa che rende chiaro quanto la narrazione estetica sia diventata un campo minato.

Per i marketer la nuova sfida sarà bilanciare aspirazione e inclusione, estetica e autenticità, senza cadere in semplificazioni o scivoloni.

Imparare dalla campagna American Eagle significa intuire che ogni dettaglio conta e che solo chi saprà bilanciare questo equilibrio potrà guidare la comunicazione e il marketing con successo nel panorama globale.


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