Perché alcune interfacce digitali ci conquistano subito? Perché sembrano leggere nella nostra mente e altre invece ci lasciano indifferenti o frustrat*?
Non dipende solo da un design ben realizzato o di funzioni rapide. La vera differenza sta in come ci fanno sentire. È un design che colpisce prima il cuore, poi la testa. Un linguaggio che scatena empatia, fiducia, coinvolgimento.
Le persone non cercano solo interazioni fluide. Vogliono sentirsi riconosciute, comprese, accolte. Cercano esperienze che superino il semplice clic, che parlino alla mente e soprattutto al cuore.
Ed è qui che entrano in gioco due discipline sempre più centrali nella progettazione dell’esperienza utente: la neuro-UX e il design empatico.
Come usare neuro-UX e design empatico per creare esperienze che restano
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, la neuro-UX non è una pratica da laboratorio con caschi e sensori (anche se in certi contesti succede davvero). È lo studio di come il cervello prende decisioni durante l’interazione digitale.
Daniel Kahneman, psicologo e premio Nobel, ha descritto due sistemi con cui pensiamo:
- Il Sistema 1, veloce, intuitivo, emotivo
- Il Sistema 2, lento, razionale, analitico
Quando una persona arriva sulla tua homepage, in meno di due secondi ha già deciso se fidarsi, se rimanere, se esplorare. E quasi sempre, è il Sistema 1 a decidere.
Bias cognitivi: le scorciatoie della mente
Per prendere decisioni rapide, il cervello usa scorciatoie: i bias cognitivi.
Eccone alcuni che impattano direttamente il design:
- Bias di conferma: cerchiamo inconsciamente ciò che conferma le nostre convinzioni
- Effetto ancoraggio: la prima informazione ricevuta condiziona tutto il resto
- Paralisi da scelta: troppe opzioni generano incertezza e blocco
Conoscerli aiuta a progettare esperienze più fluide e naturali. Non si tratta di manipolare, ma di rendere la complessità più digeribile. Hai mai applicato uno di questi bias nei tuoi progetti?
Il punto di vista di chi lavora ogni giorno con il cervello
Per capire come le neuroscienze possano davvero rivoluzionare il modo in cui comunichiamo, ho chiesto a Laura Zara, Neuromarketing Specialist e co-founder di Innovatoors. Ogni giorno, Laura aiuta i brand a trasformare la comunicazione in uno strumento efficace, fondato su basi scientifiche.
Le ho chiesto:
Laura, in base alla tua esperienza: qual è l’errore più comune che i brand fanno quando vogliono comunicare emozioni – ma senza conoscere davvero i meccanismi cognitivi alla base?
“Il problema più comune che riscontro è che, ancora nel 2025, molti brand si fermano alla superficie degli stimoli visivi o verbali, senza avere la capacità, o peggio, la consapevolezza, di attivare quei processi di sincronizzazione emotiva e neuroplasticità che cementificano relazioni profonde.
La neuroscienza ci ha mostrato che il nostro cervello è programmato per riconoscere e rispondere alle emozioni in modo sincronico.
Manufatti comunicativi coerenti tra parole, immagini e tono di voce creano un effetto di risonanza che amplifica l’engagement e consolida la fiducia verso il marchio.
Inoltre, la neuroplasticità dimostra che ripetere esperienze emotivamente positive rafforza le connessioni neurali legate al brand, trasformando una semplice interazione in un’abitudine.
Nel branding, questo si traduce nell’uso consapevole di linguaggio e design multisensoriale, che coinvolge non solo la mente razionale ma anche il cervello emozionale, creando un ponte diretto verso la decisione d’acquisto. Non a caso, queste strategie aumentano la memorizzazione fino al 70% (Cortex Journal).
Per chi lavora nella comunicazione, integrare queste leve neuroscientifiche nella propria strategia non è un vezzo, ma un vantaggio competitivo potentissimo.”
Euristiche visive: come il cervello “legge” un’interfaccia
Il nostro cervello non processa ogni elemento visivo con la stessa attenzione. Si affida a euristiche, ovvero regole semplici per dare senso al mondo in un lampo:
- Prossimità: elementi vicini vengono percepiti come collegati
- Gerarchia visiva: grandezza, colore e posizione indicano priorità
- Fluency: più un’interfaccia è facile da interpretare, più viene percepita come affidabile
Un’interfaccia ben progettata non si impone: accompagna. E in questa semplicità il cervello si rilassa e si fida.
Perché tutto questo conta davvero?
Perché non esiste fedeltà senza emozione. Un’esperienza digitale che non tocca nulla dentro di noi difficilmente sarà ricordata. E se non la ricordiamo, non ci torneremo.
La neuro-UX e il design empatico servono proprio a questo: creare legami. Invisibili, ma solidi.
Due brand che hanno capito come progettare (anche) per le emozioni
Burberry: il lusso che emoziona
Qui in Asia, Burberry ha trasformato la sua immagine in un’esperienza sofisticata, digitale e culturale. Non è solo trench e heritage: è interazione, realtà aumentata, gioco e connessione.
Questa esperienza Burberry a Jeju è un caso perfetto di come arte, tech e cultura locale si fondono in un’esperienza multisensoriale progettata per toccare le emozioni.
Nei mercati urbani come Shenzhen, Burberry ha puntato su negozi che combinano tecnologia digitale, realtà aumentata e collaborazioni con piattaforme come WeChat, per offrire un’esperienza esclusiva e coinvolgente.
Il risultato è una narrazione che resta fedele all’identità del brand, ma parla anche la lingua emotiva del pubblico locale: estetica raffinata, calma, esclusività e senso di appartenenza.

La prima esperienza Burberry immersiva sull’isola di Jeju, Corea.

Lo store Burberry di Shenzhen offre un’esperienza interattiva unica per i suoi clienti.

I mini-programmi di WeChat migliorano l’esperienza dei consumatori e la fedeltà al marchio.
Hyundai: emozioni al volante
Hyundai ha investito sull’esperienza sensoriale dell’abitacolo, studiando reazioni emotive a materiali, suoni e forme.
Ogni dettaglio, dalla luce ambientale al suono della portiera, è progettato per comunicare sicurezza, piacere e controllo. In un mercato come quello asiatico, dove il comfort e l’affidabilità emotiva sono fondamentali, questo approccio ha fatto la differenza.
Ma Hyundai non si ferma qui: per rafforzare il legame emotivo con le nuove generazioni, ha stretto una collaborazione con Catch! TinyTing, un personaggio amatissimo in Corea del Sud. Questa partnership unisce tecnologia, cultura pop e storytelling, creando esperienze digitali coinvolgenti che parlano direttamente al cuore dei giovani consumatori.

Hyundai e Catch! TinyTing: una collaborazione che parla direttamente ai giovani, unendo tecnologia e cultura pop per creare esperienze emozionanti.
Cosa puoi portarti a casa da tutto questo
- Progetta per far sentire, non solo per far funzionare
- Osserva davvero le persone: ciò che dicono conta, ma ciò che fanno conta di più
- Mantieni coerenza emotiva in tutto il percorso: dal primo sguardo al post-vendita
- Adatta l’empatia al contesto culturale: ciò che emoziona a Milano non è detto che funzioni a Seoul
Progettare con il cuore (e con il cervello)
Progettare non è solo un atto tecnico: è un atto relazionale.
La neuro-UX ci aiuta a capire come le persone decidono. Il design empatico ci ricorda che prima di essere utenti, sono esseri umani.
La differenza, alla fine, la fa chi progetta: con attenzione, ascolto e la volontà di creare non solo interazioni, ma connessioni.