Uno dei paradossi più grandi nel branding contemporaneo è questo: si investono mesi nella scelta del tipo di vetro per la bottiglia, del tono Pantone più maturo del millennial pink, dell’ingrediente esotico del momento e poi… si dimentica di definire dove posizionarsi. Il vero brand positioning resta fuori dalla porta, non invitato alla festa. Eppure è proprio lui che dovrebbe decidere la lista degli invitati, la playlist e, forse, anche cosa c’è nel bicchiere.
Il problema non è il prodotto, ma la strategia con cui si presenta al mondo. E questa strategia — sorpresa! — non nasce da un brainstorming sulla tagline più catchy o dal packaging più innovativo, ma da un lavoro chiamato posizionamento. Quel processo silenzioso e spesso sottovalutato che separa i brand coerenti da quelli che sembrano assemblati con Canva e buone intenzioni.
L’area in cui si vince deve essere unica rispetto ai concorrenti, interessante e motivante per i clienti e, soprattutto, libera e conquistabile dal brand.
Perché il posizionamento non è un vezzo
Il posizionamento di un brand è il punto d’origine da cui si definisce chi sei, per chi sei e come vieni percepito (o percepita). Se non lo dichiari tu, lo faranno gli altri, male.
Un caso concreto: stai lanciando una linea di bevande fermentate con rooibos e frutta, pensata per la Gen Z. Se nella descrizione del prodotto scrivi “il rooibos è una pianta antiossidante del Sud Africa”, il tuo target penserà due cose:
- Che ti sei confuso (o confusa) con un prodotto cosmetico.
- Che non stai parlando a loro.
Sì, anche se quella descrizione “serve solo ai distributori”. Perché i distributori, spoiler, vendono ai clienti. E se non capiscono chi sei e come raccontarti, il tuo prodotto finirà esposto tra quelli sbagliati, raccontato con parole sbagliate, a persone sbagliate.
Il posizionamento non si limita al packaging o allo storytelling sul sito. È un lavoro profondo, che tocca ogni touchpoint: naming, grafica, palette, parole, tono, distribuzione e persino l’ordine con cui presenti gli ingredienti. È l’infrastruttura invisibile che regge tutto il resto. E no, non puoi inventartelo su due piedi quando il prodotto è già pronto.

Martina Strazzer presenta il catalogo Amabilove, cuore del brand Amabile. Immagine per gentile concessione di Amabile Srl.
Quando il posizionamento vacilla: il caso Amabile di Martina Strazzer
Nel 2025 Amabile, brand di gioielli nato nel 2019 da Martina Strazzer, ha dimostrato quanto possa essere fragile un posizionamento quando la narrazione non corrisponde pienamente ai fatti. Specializzato in piccoli gioielli in oro e argento, il marchio aveva costruito una community solida e affezionata, grazie a un racconto autentico e a una vicinanza percepita con il pubblico giovane. Nel 2024, Amabile ha raggiunto quasi 7,7 milioni di euro di fatturato e oltre 1,7 milioni di utile.
Sembrava tutto perfetto: contenuti dietro le quinte, un ambiente di lavoro presentato come inclusivo, un brand che cresceva mostrando le persone dietro al prodotto attraverso una comunicazione basata sull’empowerment femminile. Poi è arrivata la rottura. Una dipendente incinta, presentata sui social in modo quasi celebrativo, non ha ottenuto il rinnovo del contratto. Una scelta legittima, certo, ma che ha creato un apparente contrasto con ciò che il brand aveva comunicato fino a quel momento.
Dopo giorni di silenzio, Martina Strazzer ha risposto con un comunicato ufficiale, spiegando che la decisione è stata presa solo dopo approfondite verifiche interne e consulenze esterne che hanno evidenziato criticità professionali non legate alla gravidanza. Ha rivendicato con forza che in Amabile la maternità non è mai stata e non sarà mai un ostacolo all’assunzione o alla permanenza in azienda. Inoltre, ha condiviso alcuni dati interni per dimostrare la stabilità della struttura e sottolineare come i mancati rinnovi siano eventi rari e sempre valutati con attenzione.
Eppure, qui si trova l’errore più grave: anche se le motivazioni sono legittime e la gravidanza non c’entra, la percezione del pubblico è un altra cosa. Nel posizionamento di un brand, ciò che conta davvero è come la community interpreta e recepisce la storia che si racconta. In questo caso, la percezione di incoerenza tra racconto e fatti ha infranto quella fiducia costruita nel tempo. La reputazione del brand ne è uscita compromessa, così come il suo posizionamento. Gli effetti si sono tradotti in una crisi reputazionale, segnata dalla perdita di oltre 8.000 follower in pochissimi giorni e in una seria minaccia per vendite e futuro
Il caso Amabile insegna che il posizionamento non è solo una strategia di comunicazione, ma una promessa da mantenere ogni giorno. Quando coerenza e comunicazione si rompono, anche il brand più amato rischia di perdere clienti e credibilità.

Il novo logo Jaguar senza il giaguaro. Immagine per gentile concessione di Jaguar.
Quando Jaguar ha perso sprint e potenza
Se Amabile ha mostrato come un posizionamento può vacillare per presunta incoerenza tra parole e fatti, Jaguar ha dimostrato che anche i colossi possono inciampare quando cambiano identità troppo in fretta.
Nel 2024 Jaguar ha scelto un rebranding radicale chiamato “Exuberant Modernism”: addio al celebre giaguaro ruggente, simbolo di potenza, storia e carattere, per un’identità più soft, pastello e inclusiva. Sulla carta un bel gesto, nei fatti una mossa che ha spiazzato chi aveva sempre comprato Jaguar perché rappresentava grinta, velocità, eleganza sportiva.
I clienti si sono sentiti un po’ traditi, come se l’amico di sempre si fosse improvvisamente presentato in giacca di lino rosa e sandali di corda. Un bel look, certo, ma lontanissimo da quello che ti aspettavi da lui.
Il risultato? Uno shock per la community, con vendite crollate del 25% in media e picchi fino al -95% in alcuni mesi. Un colpo dovuto sia al cambio di immagine che alla transizione forzata dai motori a combustione (ICE) ai veicoli elettrici (EV). Jaguar ha dovuto fare marcia indietro, rivedendo la propria strategia e cercando un nuovo equilibrio tra evoluzione e tradizione (dati ACEA/UNRAE).
Come si costruisce un posizionamento che non crolla?
Il posizionamento non è un elenco di passi, ma una serie di scelte culturali e di esclusioni consapevoli. È meno metodo e più architettura invisibile che separa ciò che resta da ciò che evapora.
- Un brand non occupa uno spazio: lo crea.
Non si tratta di inserirsi nel mercato, ma di disegnare un territorio che prima non esisteva. I competitor lo vedranno solo quando sarà già troppo tardi. - Il posizionamento non si dichiara, si riconosce.
Non è un manifesto scritto sul sito, ma la sensazione che il pubblico prova senza che tu debba spiegare nulla. Se devi enunciarlo, non l’hai ancora trovato. - La vera concorrenza non è chi vende il tuo stesso prodotto.
È chi contende lo stesso capitale simbolico, lo stesso immaginario, lo stesso minuto di attenzione. Una gioielleria può competere con un brand di skincare, un caffè con un concept store. - Il posizionamento è fragile quando non è sostenuto da infrastrutture interne.
Valori dichiarati ma non praticati generano fratture reputazionali. Il mercato oggi smaschera subito: non basta raccontare inclusività, bisogna istituzionalizzarla. - L’identità non è mai data: è una tensione.
Un brand vivo oscilla tra tradizione e rottura, tra radici e sperimentazione. Il posizionamento che dura non è rigido, ma capace di modulare senza perdere coerenza. - Ogni dettaglio è un vettore di posizionamento.
Non solo naming o logo: ordine degli ingredienti, architettura degli spazi, ritmo narrativo sui social. Sono i frammenti invisibili a rendere credibile un’identità
Quando il posizionamento non è teoria: 4 brand che lo mettono in pratica (bene)
Capire cos’è il brand positioning non è difficile. Il difficile è vederlo fatto bene. Non con i soliti slogan tutti identici, né con descrizioni generate con l’AI. Ma con dettagli coerenti, scelte intenzionali e un’identità che si riconosce anche senza leggere il nome.
Qui sotto trovi quattro brand che non ti dicono chi sono, te lo fanno capire. Ognuno con un posizionamento chiaro, che si esprime senza sovrastrutture inutili.

Immagine per gentile concessione di NIO Cocktails.
NIO Cocktails (Italia)
NIO ha scelto la strada del ready-to-drink, ma senza perdere l’eleganza. Le sue buste minimal parlano a chi vuole un drink buono, senza uscire di casa o fare il Bruno Vanzan della situazione. Nel 2023 hanno superato i 4 milioni di cocktail venduti in più di 15 Paesi.

Ning Li fondatore di MyFab, Made.com (ora quotata in borsa) e poi Typology, diventato il marchio di cosmetici online più venduto in Francia.
Immagine per gentile concessione di Typology.
Typology (Francia)
Typology punta tutto sulla semplicità. Skincare senza esagerazioni, con formule pulite e un packaging essenziale, curato, coerente. Nel 2022 hanno fatto 30 milioni di euro di fatturato e hanno conquistato i giovani che cercano qualcosa di autentico.
HAY (Danimarca)
HAY non ti spiega il design, te lo mostra. Colori riconoscibili, linee pulite, identità chiara. Anche dopo essere entrata nel gruppo Herman Miller, ha mantenuto stile e coerenza. Oggi è ovunque: Nord Europa, Giappone, USA.
%Arabica (Hong Kong / Giappone)
%Arabica non vende solo caffè, crea atmosfere. Niente storytelling forzato: spazi minimal, luce naturale, bicchieri curati. Il prodotto è parte dell’esperienza, non il centro. Oltre 230 locali in 19 Paesi.
Se non sai chi sei, lo racconteranno gli altri. E spesso lo faranno malissimo
Il brand positioning non è un pitch scritto di fretta sul Frecciarossa. È un punto di partenza. Quello che aiuta le persone a capire chi sei, ancora prima che tu lo dica.
Un posizionamento fatto bene:
- fa risparmiare tempo a chi ti deve vendere
- aiuta chi ti ascolta a fidarsi
- protegge il tuo brand da messaggi che non ti somigliano
Non serve dire tutto. Serve dire le cose giuste, nel modo giusto, al pubblico giusto.
Nel branding, capisci dove vuoi andare e poi parti
Un posizionamento chiaro non vende solo un prodotto, costruisce fiducia e crea relazioni durature. Senza di esso, anche l’idea migliore può diventare un’occasione persa. Va definito prima di partire, perché solo conoscendo il prodotto e il suo pubblico puoi decidere grafica, stile, tono e strategie di vendita. Farlo in corsa o alla fine è come costruire una scenografia senza una sceneggiatura: non funziona.
Il brand positioning ti guida su cosa dire, come dirlo e a chi rivolgerti. Se cambi sempre tono e messaggi, il problema non è la comunicazione: è che non hai ancora chiaro chi sei davvero. E senza chiarezza, farsi notare e posizionarsi resta un miraggio.
Nota: inizialmente questo articolo prendeva in esame il caso Tropicana, un classico del posizionamento. Nel corso della stesura, però, ho scelto di sostituirlo con esempi più attuali e vicini al lettore contemporaneo, come Jaguar e Amabile. Questo percorso riflette esattamente ciò che il posizionamento insegna: la scelta dei casi studio deve essere coerente, rilevante e comprensibile per chi legge oggi. Il caso Amabile è in continua evoluzione: il testo potrebbe quindi subire modifiche nel tempo per integrare aggiornamenti o nuovi sviluppi.