Una mattina mi sono svegliata e ho deciso che sarei diventata Art Director. Frequentavo il Liceo Classico (come possedere un bellissimo vestito, ma indosso a te, fa decisamente orrore), sapevo che non era l’indirizzo giusto, volevo passare dall’altra parte: Liceo Artistico, dove tutti erano vestiti “strani” e avevano i capelli fosforescenti. Era li che volevo e dovevo stare!
Dopo aver finito il liceo ero sempre più convinta che la mia strada sarebbe stata quella, altro che azienda di famiglia, volevo diventare Art. Mi sono iscritta all’accademia di Roma (AANT), a quei tempi il corso di studi rilasciava solo un diploma universitario e non una laurea come oggi. Ero comunque sicura che quel pezzo di carta un giorno, da zucca mi avrebbe comunque portata al ballo, era il mezzo di trasporto giusto sul quale salire.
Gli anni dell’accademia mi hanno aperto infiniti mondi, hanno tirato fuori doti che non pensavo di possedere. L’amore per l’illustrazione e le arti visive è nato lì, tra quelle aule, tra le lezioni di Valerio Bindi che mi ha catapultata con una fionda in quel mondo “strano”. L’amore per la tipografia, sangue e lacrime versate, durante le lezioni di Fabrizio M. Rossi e Fabrizio Filipponi. Punti, linee e infinite superfici Kandinskijane, tra i rimproveri di Orietta Breschi.
Diventare Art Director: il bivio
Dopo l’accademia mi sono ritrovata davanti a un bivio cruciale: accettare l’offerta dell’Armando Testa Design o il posto al master per Art Director dello IED, con i migliori Art e consulenti d’Italia? Secondo voi cosa ho scelto? Ovviamente la seconda, se volevo fare l’art, dovevo imparare dai migliori e non solo da uno (Armando Testa Design).
Vedere all’azione Andrea Ferolla (allora Angelini Design, Chez Dede oggi), Renato Astolfi (allora art di Leo Burnett), Mauro Minutilla (allora Angelini Design e Ferolla Reina), genio indiscusso del marketing, mi hanno fornito le basi e trasmesso le competenze e l’amore per questo mestiere. Se sono seduta su questa sedia adesso, il merito è anche loro.
Gran faccia tosta e un carattere insopportabile, dopo lo IED, mi hanno permesso di non fermarmi lì. Portfolio alla mano, ho iniziato a bussare alla porta di ogni grande agenzia, fino ad arrivare al cospetto di Susanna Vallebona e del suo studio Esseblu. Una povera stagista, che portava caffè, temperava matite, girava per ore tra le edicole a ritirare riviste che parlavano dello studio. Ma perché sto davanti a un’edicola? Perché sto portando il caffè? Io voglio fare l’ART!!!
Ai tempi non capivo che tutte quelle azioni mi avrebbero insegnato a sopportare lo stress e la frustrazione
Ai tempi non capivo che tutte quelle azioni mi avrebbero insegnato a sopportare lo stress e la frustrazione, di una campagna pubblicitaria in corso d’opera. Non capivo come porgere una tazza di caffè bollente e rannicchiarmi in un angolo dietro una Kentia, durante un briefing, mi avrebbero fatta assimilare come una spugna nozioni, azioni e metodologie cruciali, per chi come me voleva fare questo lavoro.
Dopo Esseblu, di agenzie ne ho girate tante, grandi, medie, piccole. I progetti importanti non portavano il mio nome, ma ero lì, a fare la mia storia, a imparare una professione. Alla fine a rivestire il ruolo di Art ci sono arrivata in agenzia. Gli anni di Ballando con le Stelle e Ciao Darwin, folli ritmi in cui mi chiedevo come mi fosse mai venuto in mente, di fare questo dannato mestiere. Poi però quando arrivi in un’azienda dove tutto è improntato sulle tue idee, dove arrivi a rappresentare l’Italia all’Italy Beauty Desk USA o progetti gli wall e gli stand che arriveranno alla notte degli Oscar, vieni ripagata di tutti i momenti amari e dei tanti rospi che negli anni hai dovuto ingoiare.
Oggi ho creato la mia agenzia, insieme a un’amica di infanzia, Eleonora Usai. Sono ancora Art, sono esattamente dove avrei voluto essere tanti anni fa, quando dai banchi del liceo scarabocchiavo ai margini dei libri loghi, loghetti e manifesti. Cosa consiglierei a chi volesse diventare art? Che quando si desidera tanto una cosa la si ottiene. Ma che prima di definirsi tali, acqua sotto i ponti, lacrime amare e fiumi di sangue ne dovranno scorrere parecchi. Art non è un appellativo che possiamo darci da soli è l’esperienza, infatti, ad attribuircelo.