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Rebranding: cos’è, quando farlo e come farlo bene

Rebranding: cos’è, quando farlo e come farlo bene

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Illustrazione ragazza con laptop seduta sulla scritta rebranding

Cambiare pelle non è mai un dettaglio. Nel mondo del branding, il rebranding è quella mossa borderline che sta a metà tra il colpo di genio e il salto nel vuoto. Alcuni lo chiamano atto di coraggio, altri lo vedono come un azzardo inutile. La verità è che poche mosse dividono così tanto. La domanda resta: quando è davvero il momento giusto per ribaltare la propria identità? E, soprattutto, come si fa a non perdersi per strada? Perché no, non basta una riverniaciata sul logo per dare ossigeno a un marchio.

Il rebranding è un intervento a cuore aperto. Non è solo cambiare nome o font, ma riscrivere il DNA di un brand. È un’operazione che deve arrivare dritta alla pancia delle persone, rispettando la storia e piegandola al linguaggio del presente, senza amputare ciò che l’ha resa viva.

Perché fare rebranding?

Il rebranding nasce quasi sempre da una necessità concreta. Non è un vezzo estetico da agenzia creativa annoiata. È il mercato che muta, i clienti che cambiano gusti o un passato che pesa come un macigno. Quando un marchio invecchia, smette di parlare la lingua del suo tempo. Perde fascino, si fa opaco, in certi casi persino ridicolo.

Fingere che niente sia cambiato può sembrare la via più comoda, ma è un boomerang. Un brand che non evolve rischia l’oblio. Se poi diamo uno sguardo ai dati, notiamo che il 74% delle aziende dell’S&P 100 ha rinnovato la propria immagine nei primi 7 anni di attività. Un chiaro segnale di come aggiornarsi sia spesso indispensabile per restare vivi e competitivi.

Rebranding prima e dopo della cema camouflage RiparCover in confezione compatta nera con specchio e scatola

Per lanciare RiparCover sul mercato americano non ho snaturato la sua storia, l’ho rimodellata per renderla contemporanea, dai colori, ai font, al packaging, ai materiali.

Quando non è il momento giusto per fare rebranding?

Rebranding non vuol dire stravolgere tutto per moda o per un refresh patinato. Un restyling frettoloso è un cocktail di confusione e spaesamento. Serve conoscere la propria audience, la storia, il contesto culturale in cui ci si muove. Un brand con una community fedele va maneggiato con cura, perché cancellare in un attimo il legame con chi ti ha seguito per anni può trasformarsi in un autogol storico.

Confronto tra vecchio e nuovo logo Copywriter4U: versione calligrafica con pennino vs. design moderno su fondo arancione

Nel 2024 ho riprogettato il logo di Eleonora Usai. Il suo percorso professionale e il posizionamento si sono evoluti, e ora il nuovo logo riflette perfettamente il suo presente e la sua identità attuale.

Cosa fare per un rebranding efficace

Si parte sempre da dentro. Prima ancora dei nuovi loghi o delle palette Pantone, serve capire mission, vision e valori attuali e decidere cosa portarsi nel futuro. Ascoltare il pubblico, studiare i competitor, pianificare ogni dettaglio con dati e creatività. Un rebranding che funziona non è mai solo nuovo, è riconoscibile, credibile e riesce a far sentire le persone parte del cambiamento.

  • Definire una strategia chiara, coerente e condivisa.
  • Mantenere continuità con il passato, anche nei dettagli minimi.
  • Comunicare apertamente il perché del cambiamento.
  • Coinvolgere team creativi esperti e trasversali.
  • Essere pazienti: un rebranding solido non attecchisce in una notte.

Cosa non fare mai

Illudersi che basti un logo flat, è il modo più veloce per fallire. Gli errori più comuni:

  • Agire senza un motivo reale, solo per inseguire l’onda del momento.
  • Ignorare la voce dei clienti più fedeli.
  • Scegliere design minimal o concetti astratti che non comunicano nulla.
  • Lanciarsi in campagne rumorose ma vuote.
  • Lasciare che la coerenza visiva e narrativa si sgretoli col tempo.

Rebranding falliti da cui imparare

Confronto fra vecchio e nuovo logo Jaguar: dal giaguaro scattante al design stilizzato e minimalista

Jaguar

Jaguar ha provato a reinventarsi con un rebranding radicale, puntando tutto su un’estetica futuristica e sullo slogan “Copy Nothing”. Nelle campagne le auto sono quasi sparite, sostituite da immagini criptiche e atmosfere high-tech. L’idea era scollegarsi dal passato e posizionarsi come luxury brand elettrico e contemporaneo.

Il risultato? Reazioni polarizzate. C’è chi ha applaudito la rottura e chi ha visto in questo distacco un tradimento dell’eleganza iconica che aveva reso Jaguar memorabile. Ne è nato un dibattito feroce sull’identità stessa del marchio. Perdite vertiginose e dietrofront obbligato.

Vecchio e nuovo logo Cracker Barrel affiancati, confronto nel rebranding del marchio

Cracker Barrel

Negli Stati Uniti, la catena di ristoranti country ha tentato di svecchiare il proprio look eliminando il leggendario “Uncle Herschel” dal logo e alleggerendo l’estetica rustica che la definiva. Il backlash è stato immediato, clienti storici hanno percepito il cambiamento come una perdita di autenticità, persino il presidente Trump se n’è lamentato su X. Un colpo alla nostalgia che teneva in piedi l’esperienza Cracker Barrel. Online è esplosa una rivolta tra post, meme e video di utenti indignati e sconvolti.

Ma non è finita qui.. il CEO di Steak ’n Shake, Sardar Biglari, non ha perso tempo e ha piazzato un enorme cartellone a Nashville, chiedendo la testa della CEO di Cracker Barrel, accusandola di aver danneggiato pesantemente gli azionisti con le sue decisioni sconsiderate.

Cracker Barrel ha immediatamente fatto marcia indietro, ritirando il nuovo logo e congelando ogni progetto di restyling. La frittata però è fatta. Il fatturato sì, è in crescita, ma il traffico clienti è crollato dell’8%, lasciando sul tavolo milioni e una lezione chiara: giocare con la nostalgia può costare caro, molto caro.

Chiara Ferragni posa con felpa "World’s best sottona" nuova collezione Rivoluzione Romantica 2025

Chiara Ferragni rivoluziona il suo brand e ci dimostra che passare da pensarsi libera a sottona, è proprio un attimo.

Il caso Ferragni: rebranding anti-crisi che genera nuova crisi

Qualche settimana fa, Chiara Ferragni ha azzerato completamente il suo brand per rilanciarlo con una nuova identità: “Rivoluzione Romantica”. In un gesto simbolico potente, l’account Instagram ufficiale del marchio è stato ripulito e l’iconico occhio con le ciglia lunghe, suo segno distintivo per anni, è scomparso. Al suo posto, un logotipo minimal bold blu (fa molto Burberry) su sfondo giallo burro. Il rebranding è stato accompagnato da una capsule collection dal tono ironico e fragile, con felpe che riportano frasi come “World’s best sottona” e “Club illusi per sempre”.

Questa svolta narrativa punta a prendere le distanze dall’immagine patinata del passato per abbracciare un volto più umano e vulnerabile, ma il risultato è stato divisivo. Molti esperti e utenti hanno percepito il rebranding come poco autentico, più vicino a un trend che a un’evoluzione reale. Per alcuni, la strategia appare come un tentativo disperato di rilancio. Ferragni sembra aggrapparsi a nuovi simboli e collaborazioni più per recuperare terreno che per innovare davvero.

Questo rebranding ci mostra come un’operazione di rilancio e mutamento totale possa diventare un boomerang se non radicata in un’identità credibile e coerente. Cancellare per intero la propria storia e identità visiva consolidata e riconoscibile, senza una solida strategia che coinvolga e rassicuri i clienti più fedeli, rischia di creare confusione e sfiducia. L’accusa di superficialità e mancanza di autenticità ha alimentato un nuovo ciclo di critiche e polemiche, amplificando la crisi del brand invece di risolverla.

Ancora non ci è chiaro a chi stia parlando. La Gen Z è lontana anni luce dai luoghi comuni e i millenial, che avevano applaudito a Sanremo, hanno abbandonato decenni fa gli zaini Invicta e le Smemoranda.

Il caso Ferragni è dunque un monito efficace sul confine sottile tra rinnovarsi per sopravvivere e perdere la propria essenza nel processo. Un rebranding non è una bacchetta magica e, soprattutto, non è un’operazione da fare sotto pressione o per reagire a una crisi senza un piano solido e condiviso. Chiara Ferragni ha dimostrato che cambiare pelle non è mai semplice. Può voler dire rinascere, ma anche rischiare di morire ancora una volta sotto gli occhi di tutti.

Rebranding di successo: esempi da cui prendere ispirazione

Vecchio e nuovo logo Barilla messi a confronto nel rebranding del 2022

Barilla

Il colosso italiano che sa di casa ha dimostrato che innovare senza tradire le radici è possibile. Il restyling Barilla ha preservato il legame con la tradizione e il calore familiare, aggiornando logo e linguaggio con equilibrio. Il risultato? Un marchio che unisce heritage ed evoluzione, conquistando nuovi segmenti senza perdere i fedelissimi.

Confronto visivo tra vecchio e nuovo logo Whatsapp Business dopo il rebranding.

WhatsApp Business

Il rebranding di WhatsApp Business è stato funzionale, non solo estetico. La famosa app di messaggistica del gruppo Meta ha esteso la sua identità al mondo delle imprese, mantenendo interfaccia e stile comunicativo familiari. Una mossa semplice, coerente e vincente. La transizione è stata percepita come naturale e accolta con entusiasmo.

Confronto logo Mozilla: dal design stilizzato con 'moz://a' al nuovo logo verde con simbolo innovativo

Mozilla

Nel 2024, Mozilla ha rinfrescato la propria immagine con un’identità visiva moderna e un racconto incentrato su apertura, comunità e sicurezza digitale. Logo rinnovato, colori freschi, storytelling diretto. Un rebranding che ha parlato la lingua della sua community, rafforzando il posizionamento come brand tech con un’anima chiara, la difesa della privacy online.

Processo di rebranding logo: proposte iniziali a scelta finale moderna che mantiene l'identità originaria

Processo del rebranding di un logo, dalle proposte iniziali fino alla scelta finale che mantiene l’identità passata, ma più moderna.

Strategie di rebranding: trucchi che fanno la differenza

I rebranding migliori non sono solo fuochi d’artificio grafici. Funzionano perché dietro c’è un set di mosse intelligenti. La prima è lavorare sulla brand architecture, ridisegnando i rapporti tra prodotti e sottobrand per renderli un ecosistema, non una giungla. Poi c’è il reframing narrativo, cambiare prospettiva sul racconto, portando in primo piano parti del DNA che prima restavano in ombra.

Il rollout è un altro asso nella manica. I brand scaltri non lanciano tutto in blocco, ma dosano il cambiamento, creando hype e abituando il pubblico al nuovo look poco alla volta. Il colpo di teatro più raffinato resta la nostalgia calibrata. Un colore, una forma, un dettaglio che richiama il passato, ma evoluto a un’estetica moderna. È quel legame invisibile che trasforma un restyling in una metamorfosi naturale.

Raccontare un nuovo capitolo senza cancellare il passato

Il rebranding è un nuovo capitolo, non un colpo di spugna. È un gioco di equilibri sottili. Tradizione e innovazione devono convivere senza schiacciarsi a vicenda. Quando funziona, la trasformazione sembra inevitabile, come se il brand fosse sempre stato destinato a evolversi in quel modo.

Non è solo un cambio di immagine: è una rivoluzione nel modo in cui il brand si mostra al mondo e nel modo in cui il mondo lo riconosce.


E tu? Pensi che il tuo brand sia pronto a evolversi?
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